lunedì 23 luglio 2012

HO ATTESO......................

Invano...................................................
.................................................................................................

venerdì 20 luglio 2012

STO ASPETTANDO...........

La pioggia che dovrebbe arrivare questo fine settimana.

'' ' ' ' ' ' ' ' ' '' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' ' '
    ' ' ' ' ' ' ' ' ' '' ' ' ' ' ' ' ' '' ' ' ' ' ' ' '' ' ' ' ' ' ''  ' ' ' ' ' ' '
      ' ' ' ' ' ' ' ' '   '    '   '   '   '   '   ' ' ' ' ' ' ' ' '' ' '
                           '    '     '   '    '     '     '      '
                                        '

giovedì 12 luglio 2012

RAFFAELLO BALDINI


Ho avuto la fortuna di conoscere la poesia di Raffaello Baldini.
Troppo tardi ho avuto la fortuna di conoscere Raffaello Baldini.
Avrei voluto incontrarlo ed ascoltarlo più volte ancora.
Un uomo schivo, un grande osservatore ed ancora un più grande
narratore.
Narratore dell'umanità tutta, dei piccoli e dei grandi sentimenti,
dei piccoli e grandi limiti che abbiamo come uomini.
Le sue poesie mi hanno fatto piangere e mi hanno fatto ridere.
Hanno toccato le corde del mio cuore e mai una volta sono rimasta
estranea alle sue parole.
Senz'altro lo sento più vicino perchè è un romagnolo e il
dialetto è stata la mia prima lingua, ma io credo che i sentimenti
che escono dai suoi scritti non abbiamo confini linguistici.




Gli anni
È uno sbaglio, che non debbano capire che è uno sbaglio, che lo fanno anche gli uomini, non lo fanno solo le donne, di calarsi gli anni, io ne ho conosciuto più d’uno, non vogliono invecchiare, e credono, che invece così è peggio, tutto l’opposto bisogna fare, non ci arrivano, invecchi meno se te li aumenti, gli anni, io anche da giovane, quando avevo trent’anni, «Quanti anni hai?», «Trentacinque», «Porca masola, già trentacinque, non te ne davo nemmeno trenta», nemmeno trenta, meno di trenta, hai capito? se te li cali tu, è una bugia, gli anni, te li devono calare gli altri, calarteli e farti i complimenti, adesso io ne ho sessantuno e dico sempre che vado per i sessantanove, che rimangono, tutti: «No, davvero? Ma va’ là, sessantanove? Hai una faccia, te ne darei, a dir poco, dieci di meni, anche dieci dodici», in modo che raggranelli due tre quattr’anni, poi c’è da fare un altro discorso, che pare così, ma se sono sessantuno e dici che sono sessantanove, sono otto anni che hai ancora da campare, ma siccome hai detto che li hai campati, sono otto anni che, in un certo senso, ci hai messo una mano sopra, è, come si può dire? Una prenotazione, sempre in un certo senso, ma per tornare al discorso di prima, io voglio fare un esempio che non sta in piedi, una cosa esagerata, che non si può, che è da ridere, ma si fa per parlare, metti che tu abbia settant’anni, ti domandano: «Quanti anni hai?», e tu rispondi: «Novantadue», che l’altro rimane: «Ehi, mi prendi per il culo?», «Ne ho novantadue», «Non ci credo», «Non crederci», «Porca paglia, a novantadue anni, ma sei un ragazzo!», ecco, quel che voglio dire, io, che l’ho detto, l’ho detto fino adesso, però capisco, sì, è una cosa che, in un primo momento, uno può dire: come, già che ne ho tanti, e me li devo anche crescere? Pare che non stia in piedi, invece è una cosa che non sbagli, non puoi sbagliare, parlo per esperienza, ma poi ci vuol poco a far la prova, prova, prova anche tu, vogliamo scommettere? Arrivi, si fa sempre per dire, che a settant’anni addirittura puoi diventare un ragazzo.
[Raffaello Baldini, Intercity, Torino, Einaudi 2003, pp. 53-55]



La chéursa
I m’è chéurs dri rugénd, e mè a n capéva,
a n so s’i avéss la s-ciòpa, mo i curtéll,
ò vést al lèmi léus sòtta i lampiéun.
Andéva cmè un chèn brach e lòu tótt dri,
ò travarsè la piaza,
pu a m so bótt te Baròun, mo dop la pòumpa
a so tòuran pr’e’ Ciód e a m so infilé
ti pórtich fina Tiglio dal smanzài,
ò imbòcch e’ lavadéur, ò pas la Méura,
da la Zóppa a so vnú sò ma la Costa,
pu tla Bósca, a so sèlt dréinta un curtéil,
ò fat du rèm ad schèli,
a so vnú fura vsina la Massèni,
a so chéurs vérs la Roca, me crusèri
ò ciap d’inzò vérs e’ Pòzz Lòngh, e ò vést
davènti mè tri quatar ch’i curéva
e i s guardéva di dri, i m guardéa mu mè.
Te préim a n’ò capéi, a i vléa dí quèl,
mo a n mu n so tróv la vòusa, a n’arivéva
a ’rscód e’ fiè.
Però mè u m pèr ch’i séa
quéi ’d préima, quéi ch’i m déva dri mu mè,
éun e’ va un puchìn zòp, un èlt l’à un brètt
ch’a m l’arcórd, mo i córr véa, i n sta a sintéi,
e’ pèr ch’i apa paéura, e mè a i dagh dri,
ò paéura ènca mè, mo cm’òi da fè?
a m putrébb farmè què, e se pu a m sbai?
s’a m férm e quéi di dri i m’è madòs?

La corsa. Mi sono corsi dietro urlando, e io non capivo, | non so
se avessero il fucile, ma i coltelli, | ho visto le lame luccicare sotto
i lampioni. | Andavo come un bracco e loro tutti dietro, | ho attraversato
la piazza, | poi mi sono buttato nel Baròun, ma dopo la fontanella
| sono tornato per il Ciód e mi sono infilato | sotto i portici
fino ad Attilio delle granaglie, | ho imboccato il lavatoio, ho passato
la Mura, | dalla Zóppa sono venuto giù alla Costa, | poi nella Bosca,
sono saltato dentro un cortile, | ho fatto due rami di scale, | sono
venuto fuori vicino alla Massani, | sono corso verso la Rocca,
all’incrocio | ho preso in giù verso il Pozzo Lungo, e ho visto | davanti
a me tre o quattro che correvano | e guardavano indietro, mi
guardavano a me. | Sul momento non ho capito, volevo dire qualcosa,
| ma non mi sono trovato la voce, non arrivavo | a tirare il
fiato. – Però a me mi pare che siano | quelli di prima, quelli che inseguivano
me, | uno va un pochino zoppo, un altro ha un berretto
| che me lo ricordo, ma corrono via, non stanno a sentire, | pare
che abbiano paura, e io li inseguo, | ho paura anch’io, ma come devo
fare? | potrei fermarmi, e se poi mi sbaglio? | se mi fermo e quelli
dietro mi sono addosso?

La poesia “Lachéursa” è  tratta da La nàiva Furistír Ciacri, Einaudi 2000.


mercoledì 4 luglio 2012

PRIGIONIERA

Sono prigioniera.
Prigioniera delle mie passioni.
Prigioniera del mio bisogno di possedere.
Prigioniera del mio giardino  e delle sue piante.
Non c'è mattino o sera che non debba innaffiare per ore ed ore.
Se non lo faccio le piante si stendono assetate al suolo ed io mi sento
in colpa ed allora sveglia al mattino alle 5.00 e via di gomma..
e quando torno dal lavoro alla sera altro giro.
Questa volta più largo, non innaffio le piante in vaso, ma vado alla
scoperta di quelle che sono sofferenti in piena terra.
E allora con l'innaffiatoio vado avanti ed indietro, pieno e vuoto,
pieno e vuoto, pieno e vuoto., poi lo sconforto mi assale.
Troppo caldo, la terra è crepata, le viti con i loro grappoli hanno le
foglie tutte raggrinzite.
Non ce la faccio a seguire tutto.
L'amelanchier piantato a primavera è esausto, e che dire delle rose ancora
in vaso e del gelso nero anche lui nuovo nuovo? Il terreno è coperto di foglie
secche che scricchiolano sotto ai piedi, non riesco nemmeno a tagliare l'erba
perchè fa troppo caldo. Il sudore mi scende dalla fronte solo a tenere in mano
la gomma dell'acqua.
Perchè non sono più lungimirante e a primavera invece di correre impazzita
alle fiere giardinicole per vedere e comprare, non me ne sto tranquilla a
casa mia a cazzeggiare?
Che gusto c'è a chiudersi in gabbia da soli?

lunedì 2 luglio 2012

ALBERI

Quando mi sono fatta questo regalo, non sapevo cosa mi stavo regalando.
La decisione è venuta all'improvviso.
Era sospeso, legato ad una corda e volteggiava nel vento.
Non potevo sopportarlo! E se si fosse rovinato? O strappato? O lacerato?
L'ho tirato giù, l'ho pagato e me lo sono portato a casa.
E' rimasto un pò di settimane dentro ad una borsa.
Che spreco! Poi finalmente l'ho aperto.
Non potete farvelo mancare, se non lo volete comprare andate a vederlo in un negozio
ma assolutamente è da toccare, ammirare, sfogliare e leggere.
L'avrete già capito che sto parlando di un libro, e che libro!


Ha dei meravigliosi disegni, e brani di poesie molto belle.
Veramente interessante.
Ha un piccolo difetto.....è grande!